Stia è l’antica roccaforte del Casentino ed il primo paese che l’Arno incontra nella sua corsa verso il mare. Paese dalle mille risorse, circondato da foreste e ricco di arte, è il luogo dove, circa 100 anni fa, è nato il famoso “Panno Casentino”, tessuto made in Tuscany, utilizzato dalle griffe di alta moda.
I natali aretini dell’Arno
Il titolo non è errato come può sembrare, vi assicuro che non siamo a Firenze. Siamo ancora in Casentino, nel suo confine più a Nord, ai piedi del Monte Falterona sulle cui pendici, a circa 1.300 metri s.l.m., si trova la sorgente del fiume Arno. Nell’immaginario comune l’Arno va di pari passo con Firenze con i suoi lungarni, appunto, e la classica foto da cartolina su Ponte Vecchio. Ma pochi sanno che l’Arno è di natali aretini.
Ebbene sì, l’Arno è aretino, più precisamente casentinese, di nascita e lo rimane per circa 100 km.
Io ho visto dove nasce l’Arno, considerato il secondo fiume più grande dell’Italia peninsulare (il primo è il Tevere) ed è irriconoscibile: parte quasi come un ‘rigagnolo’ d’acqua che cerca di farsi spazio tra le rocce, sembra quasi non farcela. E invece scende, piccolo e imperterrito, ‘sopravvive’ al primo tratto e arriva a valle sino a incontrare il primo paese: Stia.
Stia: antica roccaforte del Casentino
Arrivando dalla Consuma si entra nel paese attraversando uno dei primissimi ponti che passa sull’Arno, che proprio in questo punto si incontra con il primo affluente di rilievo, lo Staggia. E’ lasciando il corso dell’Arno e risalendo lo Staggia che scopriamo Stia: le sue vie, le case, le antiche chiese, e la vecchia via principale che con la piazza, non a caso, si sviluppa parallelamente al torrente. Stia nasce come Mercatale ai piedi del più importante Castello di Porciano, appartenuto ad un ramo dei conti Guidi, che tutt’oggi si staglia in posizione dominante sopra il paese.
Ma la cosa sorprendente di questo borgo che fa da vedetta estrema alla vallata, è che ha un passato celebre che non ha solo a che fare con il Medioevo e i conti Guidi, ma un passato molto più recente che ha visto Stia protagonista e conosciuta ben oltre i suoi confini. Osservando il paese saranno i suoi stessi luoghi a rivelarcelo.
Per le vie di Stia
Saliamo per le sue vie; ne prendiamo una stretta che dal parcheggio posto all’incrocio dei due fiumi ci porta nel cuore di Stia. Pochi passi e ci troviamo in Piazza Tanucci: sulla sinistra, quasi d’improvviso, tra le case e le botteghe si fa spazio la Pieve, dedicata a Maria Assunta, patrona del paese; la facciata, settecentesca, ci inganna dato che entriamo e ci ritroviamo catapultati nel XII secolo.
I bellissimi capitelli scolpiti ce lo testimoniano. E poi le opere, tavole e tele dipinte, bassorilievi in terracotta invetriata e tra di essi una bellissima Madonna con Bambino di Andrea della Robbia. Quando entro in Pieve spesso mi fermo a guardarla attirata dalla sua naturalezza, tant’è che in quel ‘bambino’ rivedo il mio.
Stia: la città de Il Ciclone
Fuori, la piazza ci guida in salita, circondata ai lati dalle loggette sotto cui spuntavano le botteghe. La guardo meglio e penso che in fin dei conti questa piazza l’ho già vista, ma dove? E quando? In tv? Com’è possibile?! Invece è proprio così, perché Piazza Tanucci è stata scelta come scenografia del film Il Ciclone del regista fiorentino Leonardo Pieraccioni.
E mi viene da sorridere, un po’: ripenso al film e penso che un paese così piccolo e semisperduto abbia tante cose da raccontare e così tanta fama nascosta! E mi rendo conto che sono solo a metà, perché ancora la passeggiata non è finita. Cosa può esserci ancora?
L’antico Lanificio di Stia
Lasciamo la piazza, prendiamo una viuzza ancora più stretta, curvilinea, caratteristica con i suoi lampioni in ferro battuto. Ci ritroviamo lungo lo Staggia e lo seguiamo risalendo a monte. Si apre davanti a noi una grande piazza, proprio adiacente al fiume e lì un grande edificio in mattoni che niente ha a che fare con ciò che abbiamo visto fino ad ora.
Sembra una fabbrica ed in effetti lo è, o meglio, lo era: è l’antico Lanificio di Stia, uno dei più importanti lanifici d’Italia fino al secolo scorso fino a quando, a causa di una grossa crisi, ha chiuso a metà degli anni Ottanta.
La lavorazione della lana a Stia risale a tempi antichi: il primo documento a riguardo risale al 1349 e chissà da quanto tempo prima quest’arte veniva praticata; sicuramente già dalle antiche popolazioni etrusche che hanno abitato questa zona, vicina al famoso Lago degli Idoli (ma questa è un’altra storia).
Entriamo nella vecchia fabbrica e con molta sorpresa scopriamo che è divenuta un modernissimo museo creato per fare memoria dell’antica lavorazione della lana praticata nel paese, lavorazione artigianale e industriale, e della storia del Lanificio. Furono le risorse naturali della zona che crearono il luogo ideale dove sviluppare la produzione laniera: le distese erbose per far pascolare le greggi di pecore; i corsi d’acqua, per abbeverare gli animali ma soprattutto sfruttati per l’energia idrica, prima, e idroelettrica poi, postazione privilegiata di gualchiere e mulini; il legname delle foreste adiacenti, con il quale si poteva riscaldare le vasche per la tintura dei tessuti.
L’Arte della Lana e il Panno Casentino
La lavorazione della lana a Stia era regolamentata e sottomessa da una delle più potenti corporazioni fiorentine, l’Arte della Lana, i cui Consoli amministravano la foresta casentinese data in dote all’Opera del Duomo di Firenze. Già all’inizio del Trecento si commerciavano a Firenze i panni grossi del Casentino, la cui qualità doveva essere di regola inferiore alle lane fiorentine per non creare concorrenza. Tale panno veniva utilizzato dai monaci camaldolesi e dai frati del Santuario della Verna data la sua resistenza e capacità idrorepellente, grazie alla sua superficie con pelo irregolare e rifinitura sommaria.
Nella seconda metà del XIX secolo il Lanificio sfrutta questa caratteristica e la ‘perfeziona’ ideando il Panno Casentino, caratterizzato dal tipico ricciolo all’esterno creato tramite il passaggio nella macchina ratinatrice.
Dapprima furono commerciate a Firenze delle mantelline per cavalli e bestiame: immaginate a fine Ottocento queste ‘sfilate’ arancio acceso sotto il Duomo fiorentino.
Ma non tutti sanno che il colore vivace del panno fu frutto di un errore: doveva essere rosso vivo invece a causa di un componente chimico errato nella tintura il risultato fu completamente diverso. Ma piacque così tanto alle signore del tempo che di lì a poco il tessuto fu richiesto per confezionare abiti diventando quasi uno status symbol.
Perfino Casa Savoia richiedeva al Lanificio di Stia di confezionare i propri abiti, in lana casentino e non.
Avere oggi un cappotto in Panno Casentino è una chiccheria; lo sanno bene i nostri stilisti, da Roberto Cavalli a Gianfranco Ferrè, che hanno confezionato alcune loro collezioni in Panno Casentino nei tipici colori arancio e verde.
E per quanto riguarda Stia? Bhè, non è mica finita qui…
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